9.
Si indaga

Il giorno successivo, Annette e Fabò uscirono da scuola senza salutare nessuno e si infilarono in tutta fretta nella stazione della metropolitana di Filles du Calvaire, nel Marais.

— Lo vedi? — domandò Annette quando risalirono in superficie.

— Cosa? Il signor Janvier o il tribunale?

Il tribunale poteva essere l’edificio minaccioso dall’altra parte della fontana. Mentre il principe del foro era senza dubbio il distinto signore che leggeva il giornale, appoggiato a un lampione a pochi passi da loro.

— Siamo arrivati, Louis! — lo salutò Fabò avvicinandosi a lui.

— Signor Janvier... — fece invece Annette, più formale del fratello.

L’ex principe del foro abbassò il giornale con uno scatto. I suoi occhialini eleganti mettevano in risalto il brillio degli occhi chiari, la barba e i capelli bianchi perfettamente curati. — Avete letto? — domandò passando loro la sua copia di Le Monde.

— No, siamo appena usciti da scuola.

— Si può comprare il giornale anche prima di entrare a scuola. Esce presto la mattina.

Annette sfogliò il giornale con una certa ansia. — Cosa avremmo dovuto leggere?

Il principe del foro segnalò loro un trafiletto minuscolo in una delle pagine di cronaca cittadina.

Omicidio Bloch. Arrestato l’inquilino moroso... — lesse Annette. — Oh, no! Hanno preso Deloffre.

L’avvocato Janvier si strinse nelle spalle. — In realtà è una notizia imprecisa. L’arresto di Deloffre è una procedura normale, soprattutto per evitare che scappi. Ho già chiesto informazioni: lo vogliono semplicemente interrogare, e lo faranno tra poco, alle 13, nell’aula 17.

— Alle 13 nell’aula 17? Chissà se gli porterà fortuna o sfortuna! — disse Fabò.

La fortuna non sta nei numeri, ragazzo, ma in un buon avvocato... — commentò Janvier. L’uomo dalla folta chioma bianca indicò quindi un bistrot in un angolo della piazza, con i tavolini fuori. — Avete fame? Abbiamo ancora un quarto d’ora e poi dovrebbe arrivare anche la signora Barduchon, con le voci del mercato.

— Non so mia sorella, ma io metterei volentieri qualcosa nello stomaco.

— Siamo in due, allora.

 

La signora Barduchon li raggiunse quando Fabò e Janvier stavano addentando una baguette ciascuno. Li salutò, lanciò un’occhiata critica ai rispettivi ripieni e provò a indovinare: — Tartara, tonno, sottaceti e olive per l’avvocato... Roquefort, prosciutto affumicato e indivia di Bruxelles per il piccolo Gaillard.

— Uno a zero per la Barduchon — osservò Janvier con un sorriso.

La donna appoggiò sotto il tavolino le sporte della spesa, traboccanti di verdure e di altre delizie, e ordinò un Pernod.

— Lei, invece, è stata al banco del pesce — azzardò Annette, sentendo un’inconfondibile odore di mare salire da un sacchetto azzurro.

— Ostriche — precisò la signora Barduchon scuotendo il sacchetto.

— Scoperto qualcosa, signora Barduchon?

— Proprio al banco delle ostriche — sorrise lei, affabile. — E in cambio di informazioni ho dovuto acquistarne due dozzine.

— Un’autentica tragedia — sorrise nuovamente l’avvocato.

— Ci dica tutto — la esortò Fabò.

— Ci sono notizie buone e notizie cattive — attaccò la donna.

— Cominci dalle cattive.

La donna si diede un’occhiata intorno, come a volersi sincerare che nessuno potesse rubare le preziose informazioni che le erano costate il prezzo di ben due dozzine di ostriche. Poi cominciò a parlare con evidente soddisfazione. — La cattiva notizia è che quasi nessuno conosce Deloffre. Sembra un tipo schivo, molto sulle sue, e anche un po’ strano, come diceva Annette. Sempre burbero, incattivito dall’idea di essere perseguitato dalla malasorte. Ha perso il lavoro per sfortuna, non si è sposato per sfortuna, non ha amici per sfortuna...

— Che lavoro faceva?

— Lavorava in una tipografia specializzata in manifesti e volantini pubblicitari. Hugotte, in rue Pierre Chapon.

Annette annotò il nome sul taccuino. — E perché ha perso il lavoro?

— Questo ancora non l’ho scoperto. Ma probabilmente basterà andare a chiedere alla tipografia.

— Ci sono altre cattive notizie?

— In realtà no... — disse la signora Barduchon. — Deloffre è piuttosto metodico. Va a fare la spesa sempre ai soliti banchi, uno dei quali è proprio quello delle ostriche. Gasparre, il proprietario, dice che è un intenditore e sceglie le ostriche personalmente, a una a una. Da quando ha perso il lavoro, Gasparre ogni tanto gli regala quelle che non è riuscito a vendere a fine giornata.

Intenditore di ostriche, segnò Annette.

— Sostiene che le ostriche di Parigi non sono come quelle della sua città: Cancale, in Bretagna, vicino a Saint-Malo.

— Il paese delle ostriche — sottolineò l’avvocato. — Tutto torna.

— Tornerà ancora di più quando saprete che Deloffre ama mangiare le ostriche non come si fa di solito, con un goccio di limone, ma senza niente, semplicemente... bevendo del sidro.

— Sidro... la bottiglia con cui ha avvelenato il padrone di casa e sua moglie! — intervenne Fabò dopo aver inghiottito un boccone di baguette.

— Esatto. Il sidro gli piace molto.

Ostriche e sidro, annotò Annette, puntuale.

— Non ne fa mistero, però... — sottolineò l’avvocato. — Se noi l’abbiamo appreso al mercato... significa che è una cosa risaputa.

— Cosa intende dire, Janvier?

— Niente di particolare, solo... un pensiero ad alta voce... — continuò l’avvocato tormentandosi i baffi.

— La notizia buona è che Deloffre è molto onesto. Paga regolarmente ogni merce che acquista e ha sempre rifiutato crediti, anche dopo aver perso il lavoro, quando non ha più avuto molto denaro da spendere — continuò la signora Barduchon. — In un paio di occasioni, però, ha dato in escandescenze per i prezzi troppo alti, dicendo che è diventato impossibile comprarsi da mangiare.

— Quando l’abbiamo conosciuto noi, infatti, — ricordò Fabò — stava litigando per alcune salsicce. Probabilmente proprio per questioni di prezzo.

— E non ci sono voci di cattivi rapporti con il padrone di casa — riprese la signora Barduchon. — O, almeno, nessuna che sia arrivata al mercato. E, di solito, quando le voci non arrivano al mercato, vuol dire che non circolano. Ma la notizia migliore di tutte è che l’alibi di Deloffre sembra essere confermato.

— Davvero?

— Sì. Il pomeriggio in cui sono morti il signore e la signora Bloch, Deloffre è stato visto al mercato.

— A che ora?

— Intorno alle cinque del pomeriggio.

— I Bloch sono morti più di un’ora dopo.

— Ma ci vuole più di mezz’ora, a piedi, dal mercato rionale a rue Charlot.

— Con la metropolitana molto meno.

— Anche con una Velib — aggiunse Annette. — Le biciclette in affitto sparpagliate per la città.

— Non è un alibi che possa reggere in tribunale... disse l’avvocato Janvier. — Ma non credo che, con così pochi soldi in tasca, Deloffre prenderebbe la metropolitana, che costa pur sempre un euro a corsa, quindi due per andare e tornare. E nemmeno che abbia una carta di credito per affittare una bicicletta pubblica... Se alle cinque era al mercato, come sostiene lui, e c’è rimasto almeno un quarto d’ora, potrebbe comunque essere tornato a casa in tempo per stecchire i coniugi Bloch.

— Oppure aver girato per i banchi come faceva sempre — continuò la signora Barduchon.

— Ha comprato delle ostriche? — chiese l’avvocato.

— È stato al bancone, le ha guardate, ha scambiato qualche parola con Gasparre e se ne è andato.

— Le ha detto come gli è sembrato? Voglio dire... arrabbiato, euforico, preoccupato?

La signora Barduchon scosse il capo. — Non ha notato niente di insolito.

— Uno scontroso tipografo di provincia, amante delle ostriche e del sidro, onesto e intrattabile, perde il lavoro e gli amici, uccide il padrone di casa e la moglie taccagna e si accanisce contro la sfortuna... — riassunse in tono pensieroso l’avvocato Janvier.

— Quello degli amici è un particolare importante... sottolineò la signora Barduchon. — Al mercato Deloffre faceva più che altro compassione: viveva solo, e questa è una cosa comune, ma sembra anche che il suo migliore amico sia mancato improvvisamente, non più di un mese fa.

— Sappiamo il nome di questo amico? — chiese Janvier.

I tre si guardarono.

— No.

— Cerchiamolo. Può essere utile.

— Questa storia dell’amico non mi è nuova... — sussurrò Annette al fratello. — Ce l’ha detto lo stesso Deloffre quando l’abbiamo soccorso, ti ricordi?

— Sì. Mormorava: «Prima il mio migliore amico, poi il padrone di casa...».

L’avvocato controllò l’orologio. — Se vogliamo vedere Deloffre, dobbiamo muoverci.

La signora Barduchon tirò fuori il borsellino, ma Janvier, da vero cavaliere di altri tempi, le appoggiò una mano sul polso. — Non ci pensi neppure. Ho già pagato tutto io.

 

Annette e Fabò si scambiavano occhiate silenziose, mentre tallonavano l’impermeabile svolazzante dell’avvocato Janvier. Il tribunale sembrava costruito appositamente per intimorire: ci si arrivava percorrendo una grande scalinata di marmo, dai gradini troppo bassi per essere fatti uno alla volta e troppo alti per essere fatti a due a due. Superati i doppi portoni, ci si trovava in un atrio gigantesco, dove echeggiava un mormorio diffuso, e si sentiva un ticchettio di scarpe lucide sul marmo.

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Descrizione: D:\Documenti\Libri\Nuova cartella\P.D Baccalario A.Gatti I Gialli di vicolo Voltaire [ Un Bicchiere di Veleno]_085.jpgFabò non aveva mai visto tanti uomini tutti vestiti uguali, in giacca e cravatta scure. Annette si guardava intorno un po’ intimorita, mentre l’avvocato Janvier procedeva con le sue lunghissime falcate.

— Buongiorno...

— Bentornato, Janvier...

— Qual buon vento, eh...

Le persone che incrociava lo salutavano e a tutte, invariabilmente, Janvier dedicava un rapido sorriso.

Percorsero un lunghissimo corridoio, evitarono una coda di gente davanti a un ascensore e ne presero un secondo, più defilato, per il personale.

Mentre salivano, Janvier cominciò a fischiettare. Una volta fuori, veloci a destra e poi dentro un’aula vecchia e sgangherata.

— Fermi qui — ordinò loro l’avvocato, facendo sedere i due ragazzi nei banchi in fondo, sbilenchi e scricchiolanti.

I fratelli si guardarono intorno: era la prima volta che mettevano piede in un tribunale. Rimasero zitti a osservare il giudice e i gendarmi che presidiavano l’unica altra porta.

A parte loro, nella stanza c’erano altre cinque persone: due poliziotti, il signor Deloffre, davanti al tavolo del giudice, e due avvocati, che stavano discutendo tra loro.

— Valadieu! Che disastro! — si lamentò Janvier. — Il nostro amico è davvero perseguitato dalla sfortuna.

Indicò ai due ragazzi il signore grassoccio che stazionava accanto a Deloffre.

— Non è un bravo avvocato? — si informò Annette.

— È a dir poco disastroso — sussurrò Janvier.

— Ed è lui a difendere Deloffre?

— Così sembra. Fatemi sentire.

Il giudice cominciò a parlare a voce più alta, ma in tono piatto e monocorde, e fece un discorso pieno di giri di parole. Il succo della faccenda era che, dopo aver ascoltato le accuse della polizia, prima di decidere se convalidare o no l’arresto, voleva chiedere alla difesa del signor Deloffre, e al signor Deloffre stesso, se avevano qualcosa da aggiungere.

L’avvocato Valadieu si schiarì la gola e cominciò con una vocina stridula: — Certamente, signor giudice! Il mio assistito, il signor... Sebroffe...

— Deloffre — protestò il suo cliente.

Janvier si mise una mano davanti alla faccia.

— ...Deloffre, Deloffre, dicevo... si dichiara estraneo alla faccenda, e a tutte le altre faccende che gli sono state... imputate. In particolare... dichiara... — e qui cominciò a scartabellare nella sua logora valigetta — ...di non essere mai entrato in possesso della sega circolare con la quale... la signorina Daumal sarebbe stata fatta a...

— Valadieu! — lo richiamò il giudice in tono perentorio. — Le ricordo che stiamo discutendo il caso Deloffre-Bloch. Aula 17. Avvelenamento da acido prussico.

— Ah, già... certo... naturalmente... — biascicò l’avvocato estraendo una seconda cartellina dalla valigetta. — In ogni caso, il mio assistito si dichiara del tutto estraneo...

— Signor Deloffre! — tagliò corto il giudice, mentre l’avvocato Valadieu continuava a parlare con voce sempre più bassa. — Vuole dire qualcosa intanto che il suo avvocato prova a recuperare la sua strategia di difesa?

Deloffre alzò lentamente la testa. — Che cosa vuole che le dica, signor giudice? Sono un perseguitato! Ecco cosa sono!

— Ha ucciso lei la signora e il signor Bloch?

— No che non li ho uccisi io! Non ero nemmeno in casa quando è successo! Potrebbe essere stato chiunque, io non chiudo mai a chiave la porta...

— Ha avvelenato lei la bottiglia di sidro?

— Magari! — esclamò Deloffre.

— Il mio cliente non intendeva dire quello che... — si affrettò a intervenire l’avvocato Valadieu.

— Intendo dire, signor giudice, — esclamò Deloffre — che per avvelenare una bottiglia di sidro bisogna avere i soldi per comprarsela. E io non li avevo, e non li ho tutt’ora! Sono senza lavoro da cinque mesi, ormai! Non so nemmeno come ci sia entrata, quella bottiglia, in casa mia!

Fabò strattonò la giacca di Janvier. — Ha sentito? Non era sua!

— Questo lo dice lui, però... — obiettò il principe del foro. — Non dev’essere per forza la verità. E poi noi sappiamo che gli piace il sidro, quindi non è del tutto impossibile che avesse una bottiglia in casa. Magari una vecchia bottiglia...

— Fabò annuì. — Giusto.

— Io credo che...

Il giudice batté un colpo sul bancone. — Silenzio, laggiù in aula! — dichiarò in tono perentorio. Solo allora i presenti si voltarono per guardare i ragazzi e l’avvocato Janvier.

Non appena riconobbe il principe del foro, Valadieu ebbe un sussulto e arrossì. Che cosa ci faceva un grande avvocato come lui a un’udienza tanto insulsa? Ci aveva portato i nipotini?

Deloffre non si voltò neppure o, se lo fece, non diede segno di aver riconosciuto i due ragazzini che erano accorsi in suo aiuto il giorno del tentato investimento. Se ne rimase con la testa ciondoloni sul tavolo, ad ascoltare quello che il giudice aveva ancora da dire.

E quello che il giudice aveva ancora da dire era che non gli sembravano sufficienti né le prove dell’accusa né le scuse della difesa e che, per poter fare maggiore chiarezza sui fatti, dava ordine di trattenere il signor Deloffre in carcere per quattro giorni.

— Significa che lo tengono dentro?

Janvier fece segno ai due fratelli Gaillard di uscire dall’aula. — Esatto. Andiamocene, qui non possiamo fare altro.

— Ma... non possiamo parlare con il signor Deloffre?

— Meglio di no. Non adesso che c’è il suo avvocato.

Janvier spinse i due fratelli Gaillard fuori dall’aula numero 17. — E poi ne sappiamo ancora troppo poco, per fargli le domande giuste...

— Avvocato Janvier!

La colomba bianca dei tribunali di Parigi alzò gli occhi al cielo. L’avvocato Valadieu era riuscito a beccarlo.

— Voi andate, ragazzi... — sussurrò ad Annette e Fabò. — Ci vediamo fuori.

I due annuirono e schizzarono nel corridoio lasciandosi alle spalle una serie di gemiti prodotti dalle scarpe da ginnastica sul marmo lucido del tribunale.

— Valadieu! — esclamò Janvier voltandosi verso il suo ex collega. — Che piacere!

L’avvocato difensore di Deloffre gli strinse la mano. — Il piacere è mio, dottor Janvier. Tutto mio. Anche se... devo dire la sorpresa... mi chiedevo come mai... insomma... un caso così poco interessante...

— Trova, signor Valadieu? — domandò Janvier sollevando il suo famoso sopracciglio.

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